Il naming e il verbal branding, soprattutto nella declinazione di payoff e brand line ci offrono un nuovo punto di vista sulla sintassi, più libero e generoso. Questo ha dato vita ad un filone stilistico, con risultati che ancora sorprendono positivamente.
La sintassi fluida
Il neologismo è il pane del naming: termini esistenti alterati, suffissi di fantasia, combinazioni che danno vita a parole nuove, semplici “parole valigia” che se avranno successo, troveranno posto anche nei dizionari oltre che nei supermercati.
In più da qualche tempo la tendenza è di forzare la sintassi e approdare a nuovi costrutti. Si tratta spesso di nomi composti da più elementi, i quali non cambiano la loro forma ma acquistano una nuova funzione e diventano più fluidi. Aggettivi usati con intenzioni verbali; verbi transitivi e intransitivi che ampliano la loro portata; soggetti e pronomi personali (Io, Noi, I, We, You) davanti a sostantivi o aggettivi.
C’erano una volta gli iNames
Quest’ultima cosa Apple la fece tanti anni fa, in tempi non sospetti, con iMac, e poi iPhone, iPad, iCloud e vari altri iNames. Una corposa batteria di nomi Apple ha dato rilevanza a quella “i” minuscola che a me piace leggere come “io” in inglese, prima persona singolare, soggetto, personalizzazione. In realtà sembra che l’intenzione originaria fosse di indicare con la “i” minuscola varie cose a partire da internet e proseguendo con individual, instruct, inform, inspire. Era il 1998 e Steve Jobs stava presentando il primo iName, il personal iMac.
Sfogliando un settimanale di questi giorni vedo Green Me, la nuova collezione di cosmetici Kiko, di prodotti naturali fino al 100% e packaging eco-friendly. Qualche pagina più avanti leggo di WeTree un progetto che punta a dare più consapevolezza alle tematiche della sostenibilità, del benessere del pianeta, con un forte contributo femminile. Su un quotidiano scopro un’azienda specializzata nella mobilità smart e sostenibile che si chiama Movyon. Fin qui nulla di così originale; è il claim che è favoloso: Tech the future. Leggo quel tech come un verbo, immagino un soggetto (We) e un avverbio (Now), oppure un altro verbo (Let’s). Now we tech the future; Let’s tech the future. Mi ridono gli occhi a immaginare il senso di questa breve frase: diamo una forma tecnologica al futuro, tecnizziamolo.
Appropriati e piacevolmente sorprendenti
È evidente: la lingua si apre a nuove forme. Costrutti sintattici che ogni professore dovrebbe segnere come errori o inappropriati, acquistano vitalità e bellezza. Come sempre, la lingua inglese è più versatile ed efficace.
Green Me, ma anche il nome ForestaMi suonano per me come un invito a considerare il verde e la natura in modo più intimo, senza mediazioni. Un richiamo a responsabilizzarsi, ad avvicinarsi ai temi del rispetto dell’ambiente. Green Me oltre alla nuova linea Kiko, è (dal 2009) anche una testata giornalistica on line focalizzata su tematiche green. La frase Tech the future risuona come una missione, un impegno visionario. WeTree oltre ad “alberarci” in senso buono, suggerisce l’identificazione con un albero, come a dire “noi siamo albero”.
Benvenuti questi nuovi costrutti della sintassi, questa riorganizzazione degli elementi linguistici, queste forzature che indicano vitalità, forza, nuovi rapporti tra le cose e le azioni. E che hanno un altro risvolto: in quanto inediti, aiutano a trovare domini disponibili e marchi più facilmente registrabili.