Quindi, nessuna ambizione di rifarsi alla Scala milanese tempio della lirica e dell’opera, né al verbo italiano “scalare le marce”. Semplicemente la scala, gli scalini, le scalate. Sicuramente compiaciuti quelli del marketing Škoda per l’allitterazione Sko e Sca, che però risulta cacofonica. Non è che tutte le allitterazioni e ripetizioni sonore siano gentili e raffinate; dipende dai fonemi, e quello “Sc” non è proprio un suono gradevole. Peraltro da veloci ricerche on line emerge che il termine cecoslovacco škoda non ha neanche quel gran bel significato. Škodu škoda škody, al plurale e singolare hanno a che fare con “danno, peccato, pregiudizio, a discapito, male”; to je škoda significa “che peccato” (fonte //it.glosbe.com/cs/it/škoda). Se i natali del brand Škoda sono stati un po’ difficili e le vicende successive ancora più traballanti tra conflitti mondiali, guerra fredda, influenze sovietiche e crisi consecutive, bisogna anche dire che il nome non era poi così ben augurale.
Ad ogni modo ci teniamo il nome Scala, un bisillabo facile da pronunciare in molte lingue, e che ha una buona coerenza con i nomi dei primi modelli della casa automobilistica, come Octavia e Felicia. Un po’ meno con quelli dei suv Kodiaq e Karoq che si rifanno ad altri idiomi e che hanno però un altro standing. Per la natura del modello, una berlina compatta segmento C, ottimo rapporto qualità prezzo, è onesto che il naming si mantenga sulla linea dei nomi femminili, semplici, che si rifanno alle lingue classiche, come appunto le sorellone Octavia, Fabia e Felicia.