È un po’ più vecchio di me e si gioca bene i suoi numeri: Kimbo Caffè è nato nel 1963 è dal 1994 il secondo caffè più venduto in Italia, ed è presente in 100 paesi. L’azienda vera e propria nacque come torrefazione a Napoli negli anni ’50 con il nome Café do Brasil. Presto cominciò a vendere caffè sotto brand name diversi, e tra questi quello di punta era proprio Kimbo. Il Brasile e i nomi sudamericani ricorrono con frequenza nel mondo del caffè di quegli anni: chi non ricorda Paulista, São Café, Kosé, e gli spot con Carmensita e Caballero. Quindi niente di strano che il nome di un nuovo caffè si inserisca in quel trend delle origini, per poi giocarsi la napoletanità in altri modi.
ESOTISMO E SUDAMERICA
La scelta del nome Kimbo viene così motivata dai fratelli Rubino, titolari dell’azienda che nel 2013 cambierà il suo stesso nome Café do Brasil in favore di Kimbo: questo nome “evoca le esotiche terre di origine dei chicchi di caffè”.
Effettivamente il nome Kimbo richiama un mondo esotico d’oltreoceano, il Sud e Centro America e sembra essere un nome proprio maschile. Rima con “gringo” ma anche con “bimbo” e ha qualcosa di infantile: fa pensare ai personaggi dei fumetti e delle storie per bambini, come il libro della giungla con Mowgli e i suoi amici animali. Anche la fonetica lo porta verso qualcosa di piccolo e contenuto, e disegna un lato giocoso, musicale, che fa spazio ad una dimensione affettiva.
Il nome Kimbo è oggi accompagnato dalla baseline “Il caffè di Napoli”: il logo rende chiara e forte la sua doppia territorialità.
KIMBO E IL CARCERE DI SECONDIGLIANO A NAPOLI
In questi giorni c’è una campagna media molto forte per il brand Kimbo, ed è uscita la notizia dell’impegno sociale di Kimbo a Napoli, dove il brand è partner di un’articolata iniziativa che riguarda il carcere di Secondigliano. L’obiettivo è fornire formazione a 10 detenuti affinché imparino tutto quello che serve sapere sul caffè per poter poi lavorare in questo ambito come baristi o tecnici manutentori delle macchine.
Sfruttando la vicinanza tra l’azienda e il carcere, i detenuti saranno ospitati nel Kimbo Training Center per seguire il programma di formazione. Il nome del progetto è “Un chicco di Speranza” ed è piuttosto ambizioso: prevede infatti anche la creazione di una piantagione di caffè negli spazi del carcere su un’area di 10.000 metri quadrati. Il dipartimento di agraria dell’Università di Napoli sta studiando il suolo e la varietà di caffè più adatta, con l’idea di dare vita ad un nuovo brand di caffè che potrebbe chiamarsi “Caffè Secondigliano”, si legge sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Tanti gli enti e le amministrazioni coinvolte, in primis Kimbo che sottolinea la sua napoletanità e il legame con il suo territorio.
Le immagini sono prese dal sito del brand.