Un po’ maschio e un po’ femmina. Il nome proprio Cino ci spedisce in Cina ispiratrice dell’oggetto (con tripla allitterazione di ci-), mentre il descrittivo Tribacchetta ci porta sul che cosa e sull’uso. È la bacchetta con 3 gambe o stecche o bastoncini, insomma la Tribacchetta. Si usa come posata per mangiare e il fatto di avere 3 gambe in un unico pezzo facilita la tenuta in mano di questo oggetto già di per sé ergonomico, e lo rende anche bello e sofisticato. In legno leggero ma realizzato anche in bambù o materie plastiche, Cino ha un equilibrio favoloso appoggiato su un piano, oltre che in mano.
Il designer Gianmaria Sforza ha messo insieme una richiesta di valorizzazione della cultura cinese e una sua personale difficoltà nell’articolazione del pollice, e così è nato (nata) Cino la Tribacchetta. Dal punto di vista del naming nel suo piccolo (ma scopriremo che non è così piccolo) Gianmaria Sforza ha fatto quello che pochi professionisti del branding riescono a capire: quando si inventa qualcosa di originale e “pioniere”, oltre al nome proprio è bene individuare anche il nome generico per permettere a tutti di capire e poi di spiegare di cosa si tratta. Altrimenti si fa la fine dello Scotch, del Walkman, del Kleenex che in sordina diventano nomi generici perché vengono usati in modo generico, in assenza di un nome creato apposta per sostenere l’innovazione. Questo “fenomeno” si chiama volgarizzazione di un marchio. E poi al titolare tocca lottare per ristabilire l’esclusiva e la proprietà del nome. Nel caso di Cino la Tribacchetta il nome generico integra addirittura il nome proprio, ma l’operazione è chiara e si capisce che Tribacchetta è un elemento in più. C’è da dire che siamo in un mondo parallelo, quello del design, che ha regole proprie e un po’ diverse rispetto a quello del branding commerciale. Qui un oggetto può permettersi di essere maschio-femmina, con un nome tutto italiano e anche un po’ difficile da pronunciare all’estero: la sillaba Ci non è il massimo, e le doppie -cche, -tta mettono alla prova molti stranieri. Anche i concetti di trademark e protezione sono intesi in modo diverso.
Ho scoperto questo nome e la sua origine qualche giorno fa, durante un incontro sul tema Honesty e design e mi è piaciuta la sua storia, oltre al suo nome semplice ma ricco, e al suo branding efficace. La sua storia: Cino nasce nel 2005, viene prodotta nel 2007, fa il giro del mondo e arriva fino al Moma a New York, passando anche per la Triennale dove viene venduta come un bel pezzo di design italiano. Dal 2011 viene però dimenticata e in un cero senso sparisce dal mercato.
Ora si apre un nuovo capitolo per Cino la Tribacchetta che in mano ai suoi creatori verrà rilanciata con una natura più umanitaria; probabilmente in Africa, realizzata in altri materiali, per rendere un po’ meno malsana l’operazione di nutrirsi in paesi in cui le condizioni igieniche non sono la priorità.
Lunga vita al design italiano, alle buone idee e alle belle persone sensibili alla sostenibilità, alle minoranze svantaggiate, ai progetti di solidarietà sviluppo e condivisione, e che nel loro lavoro danno ancora spazio alla componente sociale e umana. A questi link alcuni progetti dello studio di design di Gianmaria Sforza.
//www.produzionidalbasso.com/project/sedersi-a-magni-arredi-migranti/
//www.facebook.com/events/1955222034779015/
//www.asfitalia.org