Una bella fortuna potere usare la parola Wish come brand name: breve (è un monosillabo) con significato e rimandi molto positivi, accessibile ad un pubblico ampio, eufonica, bella da dire e ottimistica. In più fonosimbolicamente suggerisce leggerezza, agilità, velocità come un soffio ben direzionato.

Non ho idea di quanto sia stato difficile e complesso assicurarsi il trademark e vincere probabili opposizioni, rivendicazioni, reclami. Anche per il dominio .com immagino che ci sia stato un bagno di sangue. Perché quando è nato l’e-commerce Wish era il 2011, periodo in cui molti furbetti comperavano nomi di dominio brevi e di significato per rivenderli a prezzi alti. E comunque questa pratica tuttora perdura.

Quelli di Wish si sono assicurati un nome ricco di senso, un dominio, un trademark e oggi sfidano lo storico Amazon su un piano lievemente diverso. Se per Amazon si parla soprattutto di servizio, il posizionamento di Wish è il prezzo. Su sito, app e canali social il prezzo d’acquisto di ogni prodotto viene indicato vicino al prezzo originario barrato, spesso un multiplo, e la sensazione generale è che la leva prezzo sia il primo e unico messaggio.

Avendo in mente il nome Wish, il mio immediato pensiero è stato: il prezzo è un contenuto razionale, mentre Wish è un nome emozionale. Ma razionalizzando ancora un po’ sul valore del nome e della strategia Wish sono arrivata a raddrizzare la mia idea. Il prezzo come viene usato da Wish è una leva emozionale: gli oggetti proposti hanno prezzi bassissimi, spesso improbabili, e la risposta dell’utente segue la via dell’indulgenza, del “ma sì non costa tanto, mi merito un regalino”. La formula Wish è altamente emotiva: nutre i piccoli desideri, regala una coccola, una chicca, e a volte paghi solo la spedizione perché il pezzo è gratis. La variabile prezzo entra in una zona sicura, di comfort: su Wish sono certo di spendere poco. E così si spegne quel raziocinare che spesso ci frena e dà lavoro alla dimensione adulta, mentre si esalta la golosità e aumenta la salivazione.

Wish porta l’utente ad un duro esercizio: porsi dei limiti, non entrare nella dipendenza, mediare la tentazione. Il retro cervello sa che quasi tutte le merci vengono dalla Cina, che i rischi sono alti (dogana, tempi lunghi di consegna, servizio e qualità non assicurati) ma chiude un occhio, quello più critico e cerebrale. L’acquisto in rete raramente è istintivo: anzi, proprio grazie alla rete si dedica tempo e testa a fare confronti, leggere recensioni, cercare l’offerta migliore, annullare e disdire. Tutte operazioni cartesiane e intellettive.

A maggior ragione il nome Wish è convincente. Oltre ad essere un termine valido in sé e in astratto, acquisisce potenza come interprete di un posizionamento così crudo e focalizzato sul prezzo. … Quando si dice un nome forte. E questo serva a ripagare il team Californiano di Wish che non credo sia contento che il progetto venga definito (in rete) l’e-commerce cinese.