Se mai ci si chieda da dove venga quella foresta di oggetti colorati, totemici, piccoli, grandi, imperdibili, perdibili, sorprendenti, e anche demenziali, ora abbiamo la risposta. Il nuovo nome di Tiger che diventa Flying Tiger Copenaghen ci svela la loro origine.

Il nome e il logo con cui Tiger si è fatto notare stanno (autunno 2017) cambiando: sembra che una dopo l’altra tutte le insegne adotteranno il nuovo nome Flying Tiger Copenaghen. È già però plausibile che il nome con cui verrà indicato il negozio sarà Tiger, ora e sempre, sia perché è più semplice sia perché il nuovo nome non stravolge quello storico, ma lo rende per giunta più complesso. È anche probabile che i nuovi clienti che scoprono da adesso l’insegna, saranno indotti ad usare il nome “Flying Tiger”; ma avverto dubbi concreti che nei prossimi anni il passaggio al nuovo nome completo avvenga anche nel parlato.

Non ho invece alcuna speranza che qualcuno pronunci anche la terza parola del nome, quella parola “Copenhagen” che credo sia già rassegnata alla sua sorte di presenza muta, peraltro sancita da un lettering di dimensioni ridotte.

 

La faccenda si complica, come anche il nome

Perché investire in un cambiamento di identità nominale e grafica? Solitamente quando si cambia un nome è per semplificarlo; nel caso di Tiger il nome della catena si complica per bene. Quando si cambia il nome c’è una motivazione forte e irrinunciabile, altrimenti perché darsi la pena di cambiare insegne, pack, etichette, grafica digitale, grafica cartacea, siti, comunicazione … E si sta parlando di più di 600 negozi sparsi in 28 paesi.

C’è qualcosa di rilevante che sta accadendo, e il cambiamento di nome lo rivela. Tanto più che il nuovo nome dell’insegna ha trovato un equilibrio vedo-non vedo, faccio-non faccio, mi mostro-mi nascondo come attestano le dimensioni delle lettere che danno importanza diversa alle tre parole Flying Tiger Copenhagen.

La rete è povera di notizie in merito, se non un riferimento a problemi di disponibilità del trademark Tiger in alcuni mercati verso cui l’insegna si sta orientando. In Giappone e Stati Uniti già da tempo viene usato un nome diverso da Tiger.

L’esistenza e la registrazione precedente del marchio Tiger da parte di terzi ha impedito l’estensione a nuovi registri nazionali. E così il marchio Tiger ha trovato un modo furbo per “trasformarsi” senza perdere la sua natura. La tigre c’è sempre, ma diventa volante (flying). Proprio ora che abbiamo individuato il suo habitat Danese (Copenhagen), il brand richiama un mondo più orientale e ninja, fatto di draghi e tigri volanti.

Cambia anche il logo

L’operazione di cambiamento di nome e logo è notevole per valore e investimenti; considerata nell’ottica della razionalizzazione del portafoglio brand dell’azienda proprietaria, è però premiante sul medio e lingo termine. Dal lontano 1995, anno di nascita del primo store di quartiere, l’azienda ha fatto convivere vari nomi di insegna, dando luogo a molta dispersione: Tiger, TGR, Flying Tiger e ora Flying Tiger Copenhagen. Quindi lo sforzo attuale per ottimizzare il branding è cruciale. Peraltro la logica commerciale è stata da sempre quella di investire solo sul nome di insegna, senza proporre brand name specifici per i prodotti e le linee.

Il nuovo logo è un’evoluzione forte rispetto al logo precedente duro, freddo, razionale. Quello attuale veicola simpatia, gioco, divertimento e si mette sul binario dell’Happy Shopping, la filosofia su cui l’insegna prosperaL’insegna è infatti una celebrazione della gioia e dell’indulgenza attraverso l’acquisto di oggetti utili e non, ma di qualità, design e prezzo democratico. Un tempio del fashion, giocato in modo fun & smart, che ha anche vinto premi importanti per il design. Benvenuti anche gli occhietti timidi e spioni, nell’ombra della T della parola Tiger del logo.

Ecco le parole di Tina Shwarz Global Brand Director che valorizzano l’operazione di re-naming: “cerchiamo di proporre prodotti sorprendenti e di carattere. Per questo abbiamo optato per il nome “Flying Tiger” perché ricorda un paradosso: hai mai visto una tigre volare? Vogliamo far capire che da noi tutto è possibile! [ …] La scelta di aggiungere Copenhagen è stata presa per richiamare le origini dei nostri negozi e l’estetica scandinava che caratterizza i nostri prodotti”.

 

In origine era una zebra

Ma perché quest’insegna si è chiamata Tiger (o con nomi simili) per più di 20 anni? Cosa ha portato Lennart Lajboshitz, eccentrico manager di origine polacca, a individuare un nome così originale? La questione si fa ancora più succosa quando si viene a sapere che all’origine il nome dei primi negozi era Zebra. Adesso Zebra è usato come nome della società che detiene l’insegna, mentre sembra che Tiger sia nato negli anni 90 per un errore. L’aneddoto svela che in un periodo in cui Lennart era all’estero e il negozio era gestito da una persona un po’ confusionaria, Lennart per facilitare le cose decise di far vendere tutti gli articoli al prezzo di 10 corone. In slang danese 10 corone si dice tier e da qui nacque il nome Tiger che ricorda un po’ la parola tier.

Anche in Italia c’è stata un’operazione famosa il cui nome era ispirato dal desiderio di facilitare l’uso di prezzi e listini; il risultato però fu molto diverso. L’insegna Upim, Unico Prezzo Italiano Milano, è stata chiamata così perché gli articoli erano venduti usando contrassegni di 1, 2, 3 e 4 lire. Il confronto tra Upim e Tiger non regge: un acronimo privo di forza comunicativa contro un nome originale e memorabile come Tiger. Ma c’è una rilevante differenza di epoche: con Upim siamo nel 1928, in un contesto sicuramente più asciutto e rigoroso.

Dopo le parole sul nome Tiger e quelle sulle tigri volanti, ecco due parole su Copenhagen: letteralmente il toponimo significa “porto dei mercanti” con la grafia danese Køpmannæhafn. Il corrispettivo inglese è Copenhagen, mentre la versione italiana Copenaghen posticipa la lettera H. Il logo ha naturalmente privilegiato la versione internazionale.