Mi ha colpito l’annuncio radio dell’apertura di un nuovo museo a Mestre, grazie alla Fondazione di Venezia. Il nome pronunciato era emmenove, e nella mia testa si figurava la scritta Emme e il numero 9, anche se non mi dispiaceva pensare alla scritta estesa EmmeNove, più dignitosa e completa rispetto a quello che è nella realtà: M9. Reminiscenze a parte di battaglie navali, coordinate, cruciverba, crittografie, linee metropolitane ed extraurbane, mi è dispiaciuto constatare la povertà della sigla M9: alfanumerica, criptica, asciugata all’osso. Il confronto dei nomi M9 e Museo del Novecento (quello di Milano) è imbarazzante. Tanto è scarno e algebrico il primo, quanto esplicito, piatto e diretto il secondo. E mi chiedo che futuro verbale avrà il nome M9 e se verrà pronunciato come sigla o per esteso, piovendo a bomba sulla dicitura completa Museo del Novecento, che probabilmente aveva voluto snobbare o quanto meno evitare.
La tendenza di questi ultimi lustri nell’ambito del naming dei musei è di compattare almeno le sillabe, ma senza fermarsi ai mono e digrammi. Per restare a Milano, abbiamo Mudec Museo delle Culture, Muba Museo dei Bambini, come anche Mic Museo Internazionale del Cinema, che si serve ahimé solo delle iniziali sulla scia di Moma Museo of Modern Art. Quest’ultimo nome regala però un posto all’iniziale di ogni parola, persino alla preposizione semplice of. Mart di Rovereto ha dato spazio ad Art miniaturizzando il Museo nella sola lettera M, e a Roma il Maxxi gioca con i numeri romani e con qualche iniziale: Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. Il museo Bagatti Valsecchi di Milano però, sono in pochi a chiamarlo Bava ed anche il logo non invoglia questa lettura, per fortuna.
La combinazione curiosa è che ho sentito l’annuncio radio di M9 (potrebbe anche essere una frequenza radio?) mentre stavo andando al Mamu, il Magazzino Musica che nella mia mente per poco è diventato anch’esso un museo, infilandosi in quella scia di Mu Ma Mo. In realtà Mamu qui a Milano non è nulla di tutto ciò, se non un Magazzino-capolavoro di Musica. È un negozio libreria piccolo bar dedicato alla musica classica, con una infinità di spartiti e libri, e un bello spazio per ospitare eventi, concerti, laboratori. Manu  nasce nella mente di un liutista (esistono ancora!) e della sua compagna. Lo spazio è pieno di fascino, in un ex magazzino (MA); tanti stimoli, tanti eventi, rassegne, incontri, letture, legati alla musica. Magazzino e Musica: l’accostamento è quantomeno curioso. È più facile associare il garage agli strimpellamenti delle band di amici, gli scantinati, le cantine insonorizzate come si usava una volta. Mentre la musica classica la si suona in casa, nella propria stanza e nelle sale concerto, sui palchi, nei teatri. Il termine Magazzino ha un sapore seriale, di stockaggio, di capannone, come doveva essere in passato il sito in cui ora si trova Mamu. La coerenza è alta: alla mia prima impressione la natura di Mamu sembra tutto fuorchè elitaria e snob, e l’atmosfera invita al piacere e all’informalità ed ha un sapore di incontro tra amici, di laboratorio dove succedono cose. E allora ben venga il “magazzino” e l’accostamento di due sostantivi, senza articoli e preposizioni.
Mi racconta Laura Ferrari fondatrice di MaMu che a volte il nome viene storpiato e diventa Momùs, su ispirazione del caffè della Boheme. Niente male venire associati ad un’opera per una realtà che fa della musica classica, da camera, concertistica etc il suo centro. Ieri il “magazzino” era pieno di violoncellisti con i loro strumenti, custodie, spartiti, confluiti in occasione dell’apertura della settimana del violoncello.