E’ mancato in questi giorni in Francia Talus Taylor che insieme alla moglie creò nel 1969 il personaggio di Barbapapà. Sembra che Tylor, professore di matematica e biologia, abbia disegnato scherzosamente il primo Barbapapà in un bistrot dopo una passeggiata con la futura moglie in un parco parigino. Fu proprio lì che sentì un bambino pronunciare barbe à papa, l’equivalente francese di zucchero filato letteralmente “barba del papà”.
Questa espressione lo colpì a tal punto che si mise a scarabocchiare un personaggio con una forma gommosa e panciuta, che richiamava appunto lo zucchero gonfio sullo stecco, e che per questo è di colore rosa. Il passo per creare il personaggio, farne una storia e una famiglia fu molto breve ma straordinario: il primo album venne pubblicato in Francia già nel 1970 e pochi anni dopo nacquero un cartone animato e una serie televisiva. Ora le storie sono tradotte in 30 lingue e molti di noi ragazzi negli anni 70 hanno stampata nella memoria la sigla italiana dei cartoni con la voce di Roberto Vecchioni.
Qui da noi il simpatico gigante rosa si chiama Barbapapà e dà il cognome a tutta la famiglia. I nomi dei singoli personaggi declinano il bisillabo Barba in modo più o meno fantasioso: Barbamamma, Barbazoo, Barbottina, Barbabella, Barbaforte, e altri.
Quello di Barbapapà è il primo cartone portatore di un messaggio ecologista, di rispetto della natura, degli animali e della diversità, e uno dei pochi a celebrare la famiglia. I Barbapapà sono creature speciali e amabili che si trasformano per risolvere i problemi: possono infatti modellare il proprio corpo assumendo la forma della cosa o dell’animale più indicato per la situazione. Sono certa che in tante nostre orecchie, oltre alla sigla risuona anche la magica frase: “Resta di stucco, è un barbatrucco!”