E’ stato finalmente tradotto in italiano l’ultimo libro dell’antropologa Dean Falk che illustra in modo molto chiaro e ricco di riferimenti a ricerche e studi comparati, come il linguaggio sia stato un traguardo nel cammino “verso l’uomo”, reso indispensabile dall’evoluzione della struttura corporea ed encefalica dei primati.
Tutto comincia quando i nostri antenati scimmieschi conquistano la stazione bipede eretta liberando gli arti per la raccolta di bacche e frutti e la caccia: per le femmine il bacino si modifica e si restringe il canale del parto. Ai neonati si “rimpicciolisce” di conseguenza il cranio, e questo comporta la perdita di alcune capacità cognitivo-motorie: non sono più in grado, appena nati, di aggrapparsi al petto e ai peli di una madre che da subito deve usare le braccia per cercare il cibo. Quindi i piccoli vengono appoggiati a terra con frequenza, e da qui nasce l’esigenza di mantenere un contatto vocale ed affettivo costante tramite versi ed emissioni sonore. Da questi vocalizzi si è sviluppato il “maternese”, e da esso un protolinguaggio che ha dato origine ad una forma sempre più sofisticata e ricca di comunicazione. Nell’ipotesi della Falck alla base del linguaggio e della parola non ci sono quindi le grida di allarme e di avviso di pericolo (tesi più comune), ma il legame affettivo in un’ottica evoluzionistica, che pone la figura femminile al centro di un fenomeno assolutamente rivoluzionario.