Lo zero come numero ha un lunga storia: le popolazioni dell’India furono le prime ad usarlo in senso matematico nel VII secolo D.C. e probabilmente presero in prestito il concetto di zero dai greci che già nel primo secolo D.C. riflettevano sul nulla (ouden = zero) e sul tutto. Attraverso gli arabi lo zero passa in Europa e dall’arabo sifr, si arriva a zephirum, quindi al veneziano zevero e poi, finalmente a zero.

Lo “zero” si sta guadagnando oggi un posto d’onore anche al di fuori dell’algebra ed infatti lo troviamo in molti nomi di marca, con significati spesso differenti. Coca Cola Zero è la proposta senza calorie della famosa bevanda; ma Chinò ed Aranciata Sanpellegrino Zero sono le versioni senza zuccheri aggiunti. In Café Zero di Algida, la parolina Zero sta a significare ghiaccio e temperature molto fredde per suggerire la bontà del caffè ghiacciato. E la rivista Zero, che era nata in modo territoriale ispirandosi ai prefissi telefonici 02, 06 …  delle varie città ha fatto del suo nome una promessa molto glamour. C’è poi Pirelli Zero, la linea di moda PZero con il suo caratteristico logo e il nome che si ispira ad un pneumatico creato negli anni ’80, ed Impatto Zero, (tra i pionieri dello “zero”) un marchio ormai simbolo dell’emittente Lifegate e del suo impegno per la salvaguardia dell’ambiente. E non dimentichiamo il tormentone di tutti i brand name e la comunicazione ispirata al web e ai vari 2.0, 3.0 … . Ma il primo Zero a diventare famoso è stato il nostro Renato … grazie all’affetto dei suoi “sorcini”.

Insomma, se matematicamente il numero zero non aggiunge niente all’insieme, a livello di marketing sembra fare molto, come dimostra l’affollamento tra i brand name. Di sicuro si tratta di un concetto forte, efficace, stimolante, e molto versatile a giudicare dalle diverse accezioni e valori con cui è utilizzato. Attenzione però che tanto uso (e tanti significati differenti) portano a disperdere la sua forza evocativa.