Breve ma intrigante. Objects Speak. Poems Act  è un esercizio di linguaggio, un’occasione per affinare il pensiero e inventare il discorso. È un invito a soffermarsi non solo sul potere delle parole di rappresentare i pensieri, ma piuttosto sugli effetti esterni del processo del pensare, quando è esteso nelle forme del linguaggio. È un’osservazione sulle nostre interazioni con il linguaggio e gli oggetti. Parla di cosa facciamo quando creiamo un oggetto e di come ci connettiamo quando parliamo con gli altri. Gli oggetti possono agire come le poesie possono parlare.

ZAVEN FUORISALONE FILOLOGICO

Avevo letto una citazione di questo testo che presenta un’istallazione nell’ambito del Fuorisalone del Mobile che imperversa in questi giorni a Milano, e sono andata a cercarla. Avevo la speranza di capirci di più e di trovare spunti sul rapporto tra oggetti e parole, e magari sui loro nomi e su come i nomi escano dalle cose. Ne sono tornata più confusa di prima.

Il titolo dell’istallazione site-specific che copre la facciata del bellissimo circolo Filologico di via Clerici è Breath, e mette in scena il processo del respiro (lo dice il titolo), con un gioco di aria e sottovuoto (lo leggo in un articolo). In sostanza, in pochi secondi su due membrane siliconiche azzurre molto ampie (6 x 6 metri) si configurano le parole “Objects Speak” da un lato e  “Poems Act” dall’altro. Poi l’aria evidentemente viene aspirata e i volumi delle lettere che compongono le 4 parole si annullano. Dopo poco il gioco riprende.

Se a questo spettacolo associo l’articolo trovato in rete che parla di “atteggiamento inclusivo, testi antichi della lingua italiana, segni che riconosciamo foneticamente, atteggiamento corretto …” ecco che la ricerca di un senso mi fa perdere anche il piacere della materializzazione delle 4 parole. Forse l’articolo non fa riferimento alle parole di senso compiuto, lettere, caratteri tipografici poi scelti per l’istallazione. O semplicemente sono io che capisco poco. Si svela però una cosa simpatica: il nome dell’autore che firma l’opera: Zaven. In realtà non è una persona ma uno studio: lo studio Zaven appunto. E questo studio è stato fondato quasi 15 anni fa da Marco Zavagno ed Enrica Cavarzan. Entrambi i cognomi mi fanno pensare al Veneto, ma soprattutto mi piace che ciascuno dei soci abbia prestato una sillaba a Zaven: la Zav di Zavagno e la En di Enrica. E io me ne vado felice e contenta.

Ecco il testo integrale dell’articolo pubblicato su Fuorisalone.it a dicembre 2022, e ripreso da ElleDecor più di recente.

Gli spazi del Circolo Filologico ospiteranno “Breath” a cura di Zaven, studio di progettazione attivo da quasi quindici anni nel campo del product design, grafica e art direction.  “Oggi più che mai siamo chiamati a riflettere sulla lingua e sui possibili cambiamenti necessari per un atteggiamento inclusivo,” raccontano Enrica Cavarzan e Marco Zavagno, fondatori di Zaven. “Troviamo proprio nella storia e nella ricerca di testi antichi della lingua italiana le basi per questo cambiamento, inoltre troviamo segni che riconosciamo foneticamente e un atteggiamento linguistico corretto. Questi segni, questi nuovi caratteri devono essere pensati e progettati. Per ora sono rappresentativi di un passaggio di ricerca, di un atteggiamento, sono un soffio e un respiro verso il futuro” . L’opera è caratterizzata da un’estrema pulizia formale ed è realizzata utilizzando una speciale membrana siliconica. Si compone di due moduli di 6 metri x 6 metri e sfrutta la tecnica del sottovuoto per far emergere dalla superficie dei segni astratti. Queste figure grafiche si pongono come spunto di riflessione sul design non più incentrato soltanto su una ricerca estetica dei prodotti ma come strumento di un approccio multidisciplinare, asse portante del sistema economico e sociale e portatore di innovazione.

 

Le immagini sono dell’autrice.