Ho trovato in rete questi due brevi video di professionisti che sono legati al mondo delle startup, e che parlano del naming e delle sue zone delicate. Il primo video è costellato di buonsenso ed è l’intervista ad un imprenditore ucraino emigrato in USA che si chiama Ross Kimbarovsky. Relativamente ai suoi consigli trattengo il punto 3 che dice di mettere il focus sul prodotto (senza essere per forza descrittivi) sul “purpose” e sui “values”. E metto subito in linea queste indicazioni con il punto 2 del video dell’italiano Giovanni Maieli, che nel suo discorso cita in una buffa cadenza regionale i soliti nomi noti ai curiosi di naming. Costui vive a Dublino e sottolinea che il nome deve essere pertinente con il prodotto per il SEO, quindi deve usare parole chiave adeguate e deve “aiutare i clienti a capire cosa fai e cosa vendi”.
Io non ho ancora girato un video, ma sostengo da lustri che il nome deve lasciare libero il prodotto, ma deve attaccarsi alla sua anima. Di un prodotto può cambiare l’ingrediente base, può diventare una linea che ospita prodotti diversi con la stessa mission, e di una azienda può anche evolvere il core business pur mantenendo lo stesso nome, ma ciò che permane di un prodotto o di una azienda è la sua anima, la sua personalità. È quella che bisogna poter intrecciare nel nome. Le parole chiave fanno trovare quello che si cerca in rete, ma portano alla descrittività, alla funzionalità, al comunismo.
Anche relativamente alla lunghezza tipo di un nome mi piace che i due professionisti esprimano pareri diversi: per Kimbarovsky il nome deve essere corto perché così si ricorda meglio, per Maieli in nome deve avere 3 sillabe perché così si ricorda meglio. Ma poi aggiunge che Sony, Apple etc hanno due sillabe.
Quello che ho constato in più di 20 anni di naming è che non c’è una lunghezza predefinibile, a meno che no ci siano vincoli di spazio sul pack o altro, ma anche questo non dovrebbe essere uno dei punti di partenza quando si studia un nome. Viva La Mamma ha uno strepitoso numero di sillabe e lettere e parole, Facebook ha due sillabe, LinkedIn anche (se letto all’inglese; diventano tre nella lettura italiana più comune) ma in molti in Italia fanno fatica a scriverlo, stessa cosa per Whatsapp e per iPhone che nel suo gioco di minuscolo e maiuscolo confonde anche i più fedeli.
Mi rallegrano molto i punti finali di entrambi i video, per la loro accessibilità e praticità: make it unique dice Kimbarovsky, mentre Maieli chiude raccomandando “che funzioni su tutti i mercati e tutte le lingue”. … a Dio piacendo.