Trademark cina, traslitterazioneCon il miglioramento delle condizioni di vita e del potere d’acquisto, anche l’export verso la Cina sta attraversando la sua bella stagione. Ma non è tutto così assolato e luminoso, e il recente ottimo convegno di Barzanò & Zanardo sul tema della protezione legale dei marchi sul territorio cinese mette in guardia sui rischi e sulle opportunità di una buona strategia. Anche se non è obbligatorio, risulta però fondamentale (in un prossimo post capirete meglio perché) avere un brand adatto alla lingua cinese, quindi leggibile, comprensibile e appetibile per il potenziale cliente cinese. E già qui cominciano i problemi perché una lingua “cinese” unificata non esiste ma si può più correttamente parlare di un “gruppo di lingue”.

PER FORTUNA ESISTE IL CINESE SCRITTO

Ci sono almeno 2 lingue principali e svariati dialetti o idiomi, e anche se la maggior parte dei cinesi è bilingue, l’unica base comune su cui fare affidamento per comunicare (e quindi anche per i brand che vengono da ovest) è rappresentata dai caratteri scritti. Almeno questi infatti sono comuni alle principali lingue e dialetti ed hanno aiutato il paese a mantenere una certa unitarietà culturale e a comunicare nonostante la dispersione territoriale, etnica e le caratteristiche geografiche di certo non facilitanti la standardizzazione. Quindi a differenza di quanto è avvenuto in Europa, dove la frammentazione politica ha portato a stati indipendenti con modelli linguistici differenti, in Cina il cinese classico ha continuato ad esistere ed ora si chiama “cinese scritto standard” o vernacolare, mentre in ciascuna regione la lingua parlata locale si è sviluppata in maniera divergente.

Il cinese scritto è definito una lingua logografica i cui caratteri (o ideogrammi che nel corso del tempo si sono sempre più stilizzati) rappresentano un oggetto o concetto e corrispondono ad un suono e ad un morfema, ovvero una unità espressiva della lingua. Giusto per complicare le cose, trattandosi di una lingua tonale a seconda dell’intonazione lo stesso carattere può avere 4 o 5 significati differenti, e in alcuni dialetti addirittura 10; mentre a Shangai il dialetto si è evoluto su un sistema a due toni.

Come ci racconta l’avvocato Davide Dabergami dello studio Barzanò & Zanardo che ha vissuto in Cina, i caratteri sono circa 46.000 ma già conoscerne 10.000 è un must da professore, mentre gli studenti meritevoli ne padroneggiano al massimo 8000. Con 5000 caratteri già si fa una bella figura, si legge su WikipediaNel 1956 il governo ha introdotto la scrittura in orizzontale e un sistema semplificato dei segni, usato soprattutto in Cina continentale e Singapore, mentre Taiwan, Hong Kong e Macao usano principalmente la forma tradizionale.

LA LINGUA CINESE … POETICA E METAFORICA

Nello scritto L’ideogramma cinese come mezzo di poesia (1913) Ernest Francisco Fenollosa tra i primi appassionati studiosi della cultura asiatica dice che “le parole cinesi sono vive e plastiche come la natura, poiché cosa e azione non sono formalmente separate. La lingua cinese naturalmente non conosce grammatica … essa parla simultaneamente con la vivacità della pittura e la mobilità dei suoni”. Aggiunge Carlo Sini, noto semiologo e professore di filosofia teoretica “di fatto la lingua cinese si è andata sempre più allontanando dalle sue origini … Sempre più la figura dell’ideogramma funge da mero stimolo mnemonico per il termine orale … Una recente ricerca ha messo in luce che l’87% della popolazione cinese incontra seri problemi a ricordare la forma degli ideogrammi. Da almeno sessant’anni si discute in Cina, tra i politici e gli intellettuali, se adottare l’alfabeto”. (C. Sini, 2012, Il sapere dei segni). In attesa di questo epocale (e improbabile, temo) cambiamento e per orientarsi nel complicato mondo della lingua cinese rimando all’esauriente voce di Wikipedia; aggiungo solo che il mandarino standard è oggi la lingua parlata ufficiale della Repubblica Popolare Cinese e di Taiwan, quella promossa dal governo e insegnata nelle scuole, e si configura come la lingua madre parlata dal maggior numero di persone al mondo, più di un miliardo. A Hong Kong e Macao si parla invece il cantonese insieme ad altre lingue occidentali ufficiali. Peraltro il cantonese ha anche una sua forma scritta molto popolare, autonoma rispetto al cinese scritto e usata soprattutto per chat e sms, mentre nella comunicazione convenzionale si continua ad usare il cinese scritto standard. Da quando nel 1997 Hong Kong è passata alla Cina, il mandarino si sta sempre più diffondendo anche lì.

LA TRASLITTERAZIONE DI UN BRAND OCCIDENTALE

Si parla di traslitterazione di un brand per definire il processo di “trasposizione o traduzione” del brand name in caratteri e suoni locali; la traslitterazione può essere semantica o fonetica. Nel primo caso si individua un valore, asset, concetto fondamentale del brand e lo si scrive in caratteri cinesi: questo diventerà il nome della marca e poi a seconda della lingua di appartenenza verrà pronunciato in modo differente in mandarino, cantonese, dialetto nativo. Apple in Cina utilizza il carattere Píngguǒ che vuol dire “mela”, e Microsoft usa l’insieme di caratteri Wēiruǎn per dire “micro e morbido/soft”; Volkswagen in Cina è diventata Dàzhòng qìchē Dàzhòng “pubblico/massa” Qìchē “macchina”.

La seconda modalità è la traslitterazione fonetica: si scelgono suoni simili alla pronuncia occidentale cui corrispondono caratteri con significati specifici, e tra le varie possibilità si selezionano quelli con un significato più coerente con il brand, i suoi valori e i suoi contenuti: ad esempio Auchan è diventato Ōushàng con Ōu “Europa” e Shàng “ancora (moda)”. Va da sé che anche in questo caso il brand cinese avrà una grafia unica ma pronunce diverse a seconda della lingua o dialetto di appartenenza. Naturalmente riuscire a trovare la combinazione delle due traslitterazioni, ovvero suoni simili alla pronuncia occidentale e significato identico, analogo o metaforico a quello contenuto nel brand di origine è un vero colpo di fortuna, piuttosto eccezionale. Ci è quasi riuscito il brand Nike, che traslitterato diventa nai kè “resistenza, perseveranza”; buoni risultati anche in casa Subway con la traslitterazione Sài bǎiwèi Sài corsa/competizione Bǎi “100” e Wèi “sapori”.

Per concludere sottolineo alcuni dei suggerimenti offerti dall’avvocato Dabergami per essere ben protetti sul mercato cinese:

  • depositare il proprio brand name in caratteri occidentali ed essere i primi a traslitterare il proprio brand name in caratteri cinesi
  • depositarne la versione scritta e la versione fonetica, meglio se nelle due principali lingue mandarino e cantonese
  • monitorare usi impropri o illegittimi del proprio marchio da parte di terzi o di marchi simili
  • e in generale apporre su confezioni, pack e comunicazione sia il logo occidentale che quello orientale

E naturalmente affidarsi a studi legali di Marchi e Brevetti che abbiano esperienza sul mercato cinese e le risorse per aiutare ad individuare la strategia di traslitterazione più opportuna.

Porgo i miei ringraziamenti all’avvocato Debergami per la disponibilità e la gentilezza e allo studio Barzanò & Zanardo per l’organizzazione di un convegno così ricco e stimolante. Prossimamente pubblicherò altri post su temi del convegno che mi hanno molto colpito.