Comincio da Upim perché “Prima (si) passa alla Upim”; da questo slogan si desume che Upim è femmina (negozio, magazzino … sono maschili) forse perché è una insegna. Di sicuro è una sigla che all’origine nel 1928 era UPI, Unico Prezzo Italiano e che poi diventa Unico Prezzo Italiano Milano per distinguerla dal nome di una agenzia di pubblicità già esistente.

La sigla per esteso presenta una formula di vendita innovativa e furba: ogni articolo ha un prezzo unico e tondo di 1, 2, 3, 4 o 5 lire. All’entrata del negozio si acquistano i biglietti di diverso valore in modo che poi all’uscita si paga con biglietti corrispondenti al numero e al valore dei prodotti scelti.

Pochi anni dopo la nascita del primo negozio il direttore Franco Monzino lascia Upim e nel 1931 fonda la Società Anonima Magazzini Standard e crea la (anche lei femminile) Standard, un nome di matrice inglese che piace poco a Benito Mussolini. Nel 1938 per imposizione del Duce viene infatti italianizzato in Standa, acronimo di Società anonima Tutti Articoli Nazionali Dell’arredamento e Abbigliamento.

Le due insegne hanno vissuto grandi momenti di gloria e passaggi di mano, ma anche crisi e cambiamenti di insegna. Varie Upim sono diventate OVS Industry o Coin, e alcune Standa sono confluite in Billa o hanno guadagnato un po’ di personalizzazione con l’articolo La Standa. Solo in rari casi i nomi iniziali Upim e Standa sono rimasti, e come facilmente accade hanno perso i riferimenti e il messaggio originario. Nel loro contesto di nascita i termini “Unico” prezzo e “Standard” ci parlano di un desiderio di uniformità e omologazione, di democratizzazione dei consumi, di consumo di massa e produzione industriale, visti allora come una grande conquista.

Oggi è proprio il contrario: un brand deve portare distintività e unicità. Nomi come Unico Prezzo…,  Standard, Standa sono proprio anacronistici e assolutamente da bandire.